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Dead women walking

di Monia Andreani, Olivia Guaraldo, Francesca Palazzi Arduini, Emma Schiavon

Un appello contro la cosiddetta “moratoria degli aborti” proposta da Guliano Ferrara e dal cardinale Ruini, per affermare il diritto delle donne a non vedere stravolta la legge 194

Il 19 dicembre sulla prima pagina del Foglio Giuliano Ferrara scriveva a favore di una moratoria internazionale sull’aborto, all’indomani di quella uscita abbiamo preparato un appello che si rivolge a tutte le donne e gli uomini che hanno una sensibilità democratica, per affermare che non accettiamo più di essere oggetto delle battaglie mediatiche che vogliono strumentalizzare le libere decisioni delle donne per fini politici e interessi di parte e che la Legge 194 del 1978, seppure frutto di una mediazione difficile, non deve essere messa in discussione.
Ad oggi abbiamo ricevuto oltre 140 firme e stiamo ancora raccogliendo adesioni all’indirizzo andremonia@genie.it
Le promotrici
Monia Andreani, Olivia Guaraldo, Francesca Palazzi Arduini, Emma Schiavon

Dead women walking

Il patriarcato da bar è il modo più semplice che ha il simbolico patriarcale e maschilista di fare presa e di riprodursi all’interno del discorso comune, della chiacchiera riportata e non ragionata, dello stereotipo senza argomentazione e logicità. Tutto questo si ritrova nell’ultima idea di Giuliano Ferrara, quella di prendere adesioni per una grande moratoria sull’aborto. Ma nell’intento di aprire nuovamente questo discorso stantio c’è anche la malafede di coloro che fanno di ogni discorso un’arma politica contro l’avversario per cui, con il PD debole sulla bioetica e di fronte ad una bella figura internazionale del governo ottenuta con il voto all’ONU sulla moratoria per la pena di morte, Ferrara e altri hanno deciso di strumentalizzare l’aborto per aumentare i malumori nel governo e sperare in un cedimento sui nodi scoperti.
Siamo davvero stufe che i nostri corpi e le nostre vite vengano invase da discorsi opportunistici e di bottega. Ci appelliamo a Giuliano Ferrara perché rivolga la sua crociata altrove: mai pensato di diventare animalista? La questione della libera scelta della maternità non deve più essere argomento su cui imbastire lotte per poltrone e potere politico.
Utilizzare la moratoria sulla pena di morte per fare un parallelo con l’aborto è arrampicarsi sugli specchi. Infatti non c’è nesso logico tra una decisione che per legge uno Stato prende per togliere la vita di qualcuno che è nato ed ha diritti anche se ha commesso qualche grave delitto, e la decisione di una donna di far nascere, amare e crescere un figlio o di non poterlo fare per motivi che riguardano le sue singole e personalissime decisioni di vita e di coscienza. Già lo Stato italiano si è arrogato diritti di decisione per parte delle donne, ponendo limiti alla libera maternità attraverso le limitazioni imposte dalla 194 e con il diritto all’obiezione di coscienza, e decidendo per noi su quando e come avere dei figli o non averne. Si è raggiunto il paradosso della Legge 40 del 2004 con la quale lo Stato ha preso chiara posizione su come bisogna che noi donne abbassiamo la testa alle decisioni degli altri, a decisioni ideologiche e di principio, perché non possiamo scegliere liberamente di avere dei figli neanche in caso di problemi di sterilità.
ll femminismo italiano, come ha ricordato Adriana Cavarero intervistata da Il Foglio, ha già ribadito che sul corpo e sulla sessualità, sulle decisioni di vita delle donne non si deve legiferare, pertanto nessun appello ad un “diritto universale” a favore di ipotetici nascituri può permettersi di andare a contrastare con il diritto di autodeterminazione (autonomia) e di libera scelta che è tra l’altro anche uno dei fondamenti della bioetica, e che spetta a ogni donna. Il dibattito dovrebbe essere posto sul versante dell’etica della responsabilità che deve coinvolgere le donne e gli uomini in ogni parte del mondo, per una decisione matura rispetto alla nascita di un figlio che è un progetto di vita, un impegno fondamentale perché questo nuovo nato abbia possibilità di una vita felice e sviluppare tutte le sue potenzialità. E non funziona neppure l’argomentazione che vuole le donne vittime di una selezione delle nascite in paesi considerati meno civili di quelli europei, questa tragica piaga infatti non si vince con un’ipotetica imposizione statale alla nascita ma con il miglioramento delle situazioni economiche delle donne e con i diritti politici effettivi dati alle donne. Solo così e con una cultura dell’autodeterminazione le donne di questi paesi saranno libere di scegliere quanti figli avere, e solo se non saranno costrette a mandare le loro bambine a prostituirsi o a venderle come spose bambine, allora la nascita delle loro figlie sarà una gioia e non un dolore mortale.
Noi donne, di nuovo trattate pubblicamente come contenitore da maneggiare in talk show abbiamo ora il compito di gridare forte non solo il nostro NO a queste strumentalizzazioni. Dobbiamo pubblicamente rifiutare il ruolo di “dead women walking” che vogliono appiopparci, perché in questo gioco mediatico siamo noi le sottoposte a pena di morte simbolica.
In questa società nella quale il diritto alla vita è sempre più messo in pericolo, e non certo per le scelte della popolazione femminile ma semmai per la cultura scellerata maschilista che ci considera proprietà del marito, del fidanzato, del padrone, dello Stato, noi donne dobbiamo rivendicare la nostra responsabile autodeterminazione.
Ci chiediamo infine come mai lo pseudo-neo-tomista Giuliano Ferrara non abbia invocato gli universalissimi principi della vita e della difesa degli innocenti quando volenterosamente il suo governo appoggiava – quella sì – la silenziosissima strage di innocenti in Afghanistan e Iraq. C’è da chiedersi infatti come mai il realismo politico di certi maschi rimanga tale per quanto riguarda la guerra – ultima e preziosissima ratio della politica di cui solo loro colgono l’essenza – e si trasformi in un melenso idealismo che difende i feti quando si tratta del corpo femminile. Ferrara – e molti uomini con lui – è realista e cinico quando si tratta delle bombe in Iraq, diventa idealista e mistico quando si tratta del corpo delle donne.
Che dire infatti di quei bambini carbonizzati dalle bombe al fosforo bianco lanciate sull’Iraq dagli aerei americani: innocenti forse non lo erano più per il fatto di essere venuti al mondo dalla parte sbagliata? Perché ci fu il silenzio, allora, su quella vera e propria strage di innocenti – vivi e coscienti – avallata dall’occidente? Quello è sì uno dei tanti crimini contro l’umanità passati sotto silenzio per il quale le madri gemono e continueranno, inascoltate, a gemere.(Il dialogo.org)

Seguono adesioni
(per aderire inviare una email all’indirizzo andremonia@genie.it)

Alisa del Re (Università di Padova)
Renate Siebert (Università della Calabria)
Cristina Papa (Il paese delle donne)
Raffaella Lamberti (Associazione Orlando)
Fernanda Minuz (Associazione Orlando)
Giacomo Casarino (Università di Genova)
Rosanna Ambrogio (Centro documentazione Pace onlus Ivrea)
Pia Covre
Antonella Malvestiti
Monica Cerutti (Consigliera Comunale Torino)
Franca Balsamo (Università di Torino)
Paola Di Cori (Università di Urbino)
Maria Grazia Negrini (Bologna)
Anna Badino
Mirella Sartori
Alessandra Vincenti
Stefania Sinigaglia
Patrizia Caporossi
Anna Malaguti
Susanne Franco
Concetta Malvasi
Roberto Cagliero (Verona)
Laura Tosi
Mauro Donolato
Giuliana Beltrame
Michela Sandrelli
Anna Vasta
Luisa Capelli (Direttrice editoriale Meltemi, Roma)
Mariangela Sirca
Ludmila Bazzoni
Shaul Bassi (Università Cà Foscari di Venezia)
Ida Fazio
Lucilla Mancini
Francesca Ciardi
Paola Magnarelli
Emilia Magnarelli
Maria Rita Lodi
Wilma Plevano
Oriana Cartaregia (Genova)
Nicoletta Giorda (Torino)
Patrizia Veroli
Laura Lanzillo
Daniela Pietta
Chiara Martucci
Enza Panebianco
Barbara Borin (Avvocata Vicenza)
Angela Genova
Marta Vigorelli
Gaia (Maqui) Giuliani
Valeria Villani
Annabel van Baren (Utrecht, the Netherlands)
Beppe Pavan (Uomini in Cammino – Pinerolo)
Antonietta del Brocco
Chiara Bonfiglioli (Utrecht)
Daniela Fringuelli
Alessandra Cimini
Luciana Orofino
Teresa Mattei
Silvia Dal Molin
Marina Bolletti (Padova)
Lorenza Accorsi
Laura Toffetti
Teresa Cassani
Piera Vaglio Giors
Maria Clotilde Amadori Giuffrida
Paola Massaro
Valeria Maione (Università di Genova)
Serena Tarocco (Verona)
Titti Castiello
Camilla Mazza
Wivie Benaim
Alice Pettenò
Ivana Stefani (Alessandria)
Nicoletta Poidimani (Milano)
Alessandra Chinaglia (Psicoterapeuta)
Lorenzo Bernini
Paola Mura (Università di Ferrara)
Sonia Doronzo
Marina Maestrutti
Sabrina Basili
Cecilia Stefanelli
Elisabetta Pesole
Patrizia Diamante
Aida Ribero
Isabella Tolfo
Giuliana Cavalli
Maria Grazia Mauti
Maddalena Brentarolli
Carlotta Pedrazzoli
Annusca Campani
Paola Bassi
Caterina Grassi
Silvana Meroni
Carla Fortis
Maria Teresa Della Mura
Assunta Signorelli
Diego Risuglia
Laura Fantone
Rosella Simonari
Barbara Archesso
Irena Marceta
Cristina Aste
Giusy Esposito
Daniela Schillaci (Palermo)
Valeria Vitali
Lia Arrigoni (Verona)
Ferdinanda Vigliani
Barbara Marinelli
Elena Brambilla
Grazia De Michele
Maria Angela De Michele
Antonia Cannone
Maria Luisa Gizzio
Lee Salter (University of the West of England)
Iole Mizzuni
Marianna Loy
Jack Salbergo (Segreteria Provinciale PRC Verona)
Catia Manfredi (Sinistra Democratica Reggio Emilia)
Stefania Pollastri
Stefania Panfili
Marco Pettenella (Verona)
Franca Castelli
Marco Utili
Maria Teresa Cassini
Barbara Mazzotti
Donata Cavazza
Franco Cilenti e Redazione di Lavoro e Salute
Gabriella Cappelletti (Bologna)
Gabriella Malaguti
Chiara Bartoli
Daniele Montorsi
Patrizia Gubellini
Stefania Gatta
Patrizia Cortopassi
Nadia Branchetti
Monica Morandini (Reggio Emilia)
Giovanna Jannuzzi
Daniele Verzetti
Francesca Mazzola
Sandra Capri
Simona Ricci
Carolina Tinoco
Monica Incerti
Mirca Stefanini
Angelo Berca
Eva Polino

Aderisci all’appello
Dead women walking
Indirizzo email: redazione@ildialogo.org

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