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Nel nome di Nenni

(Milano, 1° gennaio 2008) – Complici le festività dal Natale all’Epifania passando per i soliti tragici botti di Capodanno, anche quest’anno l’anniversario della scomparsa di Pietro Nenni (1° gennaio 1980) è passato sotto silenzio. Dobbiamo sperare che i due anni che mancano al trentennale siano sufficienti per rimediare.
Questa dimenticanza da parte dell’Italia e della sinistra in particolare non è casuale: i personaggi autentici e sanguigni non sono di moda.
L’immagine si costruisce a tavolino per il pubblico televisivo. Nenni era un tribuno, che dava il meglio di se stesso nel comizio in piazza o da un palco congressuale.
Il leader doveva misurarsi con uomini e donne in carne ed ossa, non con astratti gruppi campione di un sondaggio di opinione. Davanti ad un televisore la comunicazione è unidirezionale, dal mezzo al pubblico. Non è la stessa cosa in un’assemblea od in un comizio anche quando apparentemente non c’è interlocuzione ed il pubblico è semplicemente affascinato dalla capacità oratoria e dal carisma del leader.
Nenni non suscitava gli umori della folla, li interpretava, piuttosto e li esprimeva politicamente: un’esperienza indimenticabile.
Nenni non può piacere ad una sinistra che ha dimenticato le sue radici popolari. Un protagonista della sinistra italiana ed europea, conosciuto in tutto il mondo e con lui i socialisti italiani, i socialisti di Nenni, non ha avuto una sezione a lui dedicata in tutta l’avventura dei DS. Un bene, forse: possiamo immaginare il suo sconcerto se una sezione Pietro Nenni fosse stata portata in dote nel Partito Democratico. Probabilmente gli avrebbero cambiato subito il nome, come hanno fatto con Aldo Aniasi. Nenni un romagnolo con origini repubblicane, un anticlericale (mi ricordo la tessera del PSI 1961: “contro il clerico-fascismo”) addirittura un mangiapreti con i parametri attuali. Pur con queste stimmate Nenni fu capace, con la grande intuizione del centro-sinistra, di superare una frattura storica tra movimento socialista e cattolicesimo politicamente impegnato o, per dirla con il linguaggio di allora, di realizzare l’incontro tra le masse socialiste e le masse cattoliche.
Nenni è scomodo perché è stato l’esempio vivente delle contraddizioni della sinistra italiana, per troppo tempo separata dalla famiglia del socialismo democratico nel nome dell’unità della sinistra e del mito del campo del socialismo realmente esistente, cioè del comunismo sovietico.
Una sinistra con grandi debolezze teoriche ovvero ideologicamente ingessata, ma con salde radici sociali e territoriali.
L’utopia socialista proiettata nel futuro, proprio per le radici sopraccitate, non ha impedito alla sinistra di produrre una classe di amministratori locali, di cooperatori e di dirigenti sindacali all’altezza delle migliori tradizioni riformiste della sinistra europea, sia che il loro riferimento fosse il PSI o il PCI.
Nenni era di fondo un ottimista generoso, persino ingenuo. Dopo la denuncia del sistema burocratico-poliziesco sovietico per i fatti di Ungheria, confermati con il giudizio sulla Primavera di Praga, fu, tuttavia, capace di entusiasmarsi per la Rivoluzione culturale cinese e di ammirare senza riserve Mao-tse-dung, mentre operava per la riunificazione dei socialisti nenniani con i socialdemocratici saragattiani.
Nella congiuntura attuale della sinistra italiana, in questo momento di debolezza, poiché non è valutabile . senza PD -al di sopra del 15% dell’elettorato (ai tempi del PSI e del PCI raggiungeva e superava il 40%) un personaggio come Nenni sarebbe necessario, per dare un’anima ad un progetto unitario, che da un lato perpetua la divisione e dall’altro coagula nell’ambiguità forze che non hanno risolto i loro problemi interni: come se, se si è in molti a non sapere dove andare, la meta sia più vicina.
Nenni non avrebbe mai fatto l’errore di rompere con la CGIL e la sua maggioranza o di puntare ad una crisi di governo al buio.
Con i parametri attuali di giudizio, prevalenti nel centrosinistra e specialmente nelle forze costitutive del PD, Nenni, Lombardi e De Martino, per non parlare di Basso, verrebbero relegati nell’area della sinistra radicale.
Assistiamo, pertanto, ad una strana contraddizione, quella che la sinistra radicale, a parte gli eredi politici di Sergio Garavini, non voglia fare i conti con la questione socialista in Italia ed in Europa, se non la si supera, la sinistra italiana continuerà ad essere la più debole del continente europeo.
La mancanza di un forte partito socialista democratico in Italia, a differenza di ciò che prevalentemente accade negli altri Paesi europei, può essere una spiegazione della debolezza della sinistra.
Sarebbe, però, altrettanto legittimo interrogarsi sulle ragioni di una tale mancanza. Se non c’è e non c’è mai stato potrebbero mancare le condizioni soggettive ed oggettive per la creazione di un tale partito.
Il fatto che un tale obiettivo non sia mai stato tenacemente perseguito non è una spiegazione, in quanto lascia più spazio ad altri interrogativi piuttosto che dare inizio ad un abbozzo di risposta.
Se non c’è riuscito Nenni, che ci credeva, chi mai potrebbe riuscirci?(ADL)

*) Felice Besostri è membro del Comitato promotore nazionale di “Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo” e partecipa alla Costituente Socialista.

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