di Pio Visentin
L’espressione biblica, nell’evangelista Giovanni, è più forte. “Si è fatto carne”. Il soggetto è Gesù Cristo, il Verbo del Padre. Carne sta per umanità nella sua interezza, l’uomo con le sue risorse e idealità, ma anche con le sue debolezze e contraddizioni.
Qui ci troviamo di fronte ad un articolo qualificante e fondante del nostro “credo cristiano”. Non sono per nulla d’accordo su un certo genericismo religioso, secondo il quale è sufficiente credere in Dio. No, come cristiano, credo in un Dio divenuto uomo. Neppure mi sento sufficientemente appagato dalla visione del Bambino di Betlemme. L’ingresso di Dio nella storia dice di più: è la sua incarnazione in ogni bambino. È il suo inabissarsi in ogni uomo e in tutto l’uomo.
Come dire, che il Cielo si abbassa ed entra nella terra, perché l’uomo possa avere il respiro della speranza. Mi sono trovato, fuori città, con un gruppo di persone per una giornata “diversa”. Bibbia alla mano, si voleva capire qualche cosa di più dei troppi misteri della vita. Osservo il gruppo al lavoro di ricerca biblica. Una signora ha il libro aperto su un testo della prima lettera di Giovanni.
“Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!”. Mi sembra un po’ irrequieta. “Tutto chiaro?” le chiedo. “Più o meno; – mi risponde – sto pensando a mia figlia. Sa, era giovane, una bella ragazza, intelligente. È morta in un incidente stradale. Mia figlia… Capisce?”.
Ritornando a casa, devo scendere e cambiare treno a Mannheim. Ho un po’ di tempo. Entro nel Buch – und Pressezentrum, per dare un’occhiata ai titoli dei giornali e dei nuovi libri usciti. Mi colpisce la copertina di una rivista: una giovane donna, sportiva, e il grosso titolo: Gesund und glücklich leben. Non penso che nelle pagine interne fosse riportata la ricetta della felicità. Mi domando: si può essere felici?
So che si muore ancora di fame e di sete, di povertà e di malattia. So che vi sono persone offese nella loro dignità, vittime di intolleranze e discriminazioni. Vi sono corpi martoriati dalla sofferenza, coppie e famiglie senza sicurezza e senza pace. Mi piace il Natale con lo sfavillio delle luci e le musiche angeliche, con le bancherelle, gli alberi di Natale e i presepi, con la neve che cade su strade e campagne.
È una festa divenuta universale, che ci accomuna tutti, al di là delle differenze religiose, e che fa riemergere sentimenti e affetti sopiti, una forte nostalgia di cose buone, di relazioni umane diverse; che fa sognare nuove stagioni di pace.
Ben venga anche questo Natale! Voglio però allungare lo sguardo su un orizzonte più vasto, quello della fede, per vedere nel Bambino di Betlemme il Figlio di Dio fatto uomo; e in ogni uomo, specialmente quando è calpestato e sofferente, il volto stesso di Dio.
Mi consola il pensiero di questo Dio, che, senza concedersi privilegio alcuno, ha fatto la scelta di collocarsi dalla parte dell’uomo. In quella famosa giornata biblica suggerii timidamente alla signora, cui era mancata tragicamente la figlia: “Ma lo sai che Dio in questo momento sta dalla tua parte?”. Fece fatica; però annuì e sorrise.