di Carlo Mochi Sismondi
Carissimi, buon anno! A tutti voi, insieme a questa prima newsletter del 2008 arrivi anche un affettuoso augurio di un anno da ricordare tra tanti con un sorriso speciale.
Tranquilli…Non sto dando i numeri al lotto, come avrete già capito il titolo di questo editoriale si riferisce a due ricorrenze che ci accompagneranno nell'anno che entra e che anzi per la verità hanno cominciato a farlo già prima della fine dell'anno: 60 anni dal 1948, anno di nascita della Costituzione e 40 anni dal mitico '68, anno simbolo della “rivoluzione”. Anni strani quelli con l'8: tondi e pieni, ma anche rischiosi come un “otto volante”!
Mi pare utile citare insieme queste due date (‘48 e ‘68) perché, a mio parere (io ho vissuto come attore solo la seconda), sono state caratterizzate da alcuni fattori comuni: la speranza innanzi tutto, una speranza che in entrambi i casi nasceva da un profondo senso di responsabilità basato sulla fiducia, un po' ingenua a volte, che quella sarebbe stata la volta buona per cambiare il mondo.
Una responsabilità che portava a enucleare valori e tra questi soprattutto il grande valore della libertà, diverso certo per chi era uscito combattendo dal fascismo e per chi vent'anni dopo (sì solo vent'anni, pensate un po' a quanto era densa la storia allora…) sfilava per le strade contro la guerra del Vietnam o contro la “scuola di classe”; diverso il valore, ma sorretto in entrambi i casi dalla certezza che alcuni passi fossero compiuti per sempre, che su alcune conquiste non si sarebbe mai più tornati indietro.
Insieme alla speranza e alla libertà sia nel '48 che nel '68 grande è stato l'apporto dei giovani: una generazione che usciva dalla guerra e dalla Resistenza, la generazione successiva che si sentiva dentro il fuoco del cambiamento e trovava spazi nuovi di partecipazione.
A prima vista il confronto con l'anno che nasce è impietoso (basta guardare i dati del sondaggio Demos Repubblica di ieri 3 gennaio): pochi giovani al comando, poche speranze e tanta tristezza e arrabbiatura da parte degli italiani. Ma è tutto qui? Questo è quello che ci rimane delle conquiste del '48 e del '68? Io personalmente credo di no e credo valga la pena di interrogarci meglio su quel punto interrogativo del titolo. Che parola vogliamo vicino al 2008? In un sommario e informale sondaggio tra amici le proposte oscillano dalla scorata “depressione”, alla ambigua “restaurazione”, dalla buonista “collaborazione” , all'ambivalente “integrazione”, che io preferisco. Quando ero ragazzo l'integrazione nel sistema era lo spauracchio, ma ora integrazione riporta a convivenze civili nella diversità, a culture che si contaminano positivamente, alla fine di non rimpiante ideologie assolutiste.
Che ne pensate? Per voi meno giovani cosa vi sembra valga la pena di salvare di quegli entusiasmi per farne dono ai giovani di oggi? Quali valori sono sopravvissuti da trasmettere come strumento per andare oltre?
E per voi che il '48 o il '68 l'avete studiato solo sui libri cosa vi dicono queste date?
Insomma come giustamente dice Luca de Biase in un post sul suo blog (a proposito ve lo consiglio): forse è solo un gioco quello del paragone tra '68 e '08, ma perché non giocare?