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Dagli spari alle auto: i conti che non tornano

di Tommaso Labate

sul Riformista

Quello che per ventiquatt’ore è stato veicolato come «tragico errore» si è trasformato, nelle parole pronunciate ieri dal capo della Polizia Antonio Manganelli, in un «intervento maldestro» dell’agente della polizia stradale che ha ucciso Gabriele Sandri. E l’agente, a sentire Manganelli, «nulla sapeva delle ragioni del’alterco, del litigio, della zuffa che si era creata».
Stando a fonti accreditate, sin da domenica sera Romano Prodi «è irritato, molto irritato» per come l’affaire è stato gestito, su in Toscana. Giuliano Amato ribadisce di aver condiviso le scelte della polizia sulla gestione dell’ordine pubblico (quindi, anche la decisione di far giocare regolarmente le partite delle 15) ed esprime «però il pieno sostegno agli inquirenti perché sia fatta totale chiarezza sull’uccisione di Gabriele Sandri». Sulla richiesta che venga fatta «piena luce» sull’uccisione del tifoso laziale si attestano tutti, dalle più alte cariche istituzionali ai ministri del governo Prodi. Compreso Antonio Di Pietro che però, parlando con il Riformista, si sofferma su un altro aspetto. «Non mi piacciono i tuttologi del giorno dopo e nemmeno i dietrologi che, ogni qualvolta c’è di mezzo la polizia, si comportano come se i servitori dello stato fossero delinquenti». Il ministro aggiunge che «evidentemente un errore c’è stato». Ma spiega che «sarebbe uno sbaglio madornale sospettare che gli inquirenti o le forze dell’ordine abbiano compiuto delle violazioni». «Questa dietrologia del giorno dopo è offensiva. Va però rilevato che quell’agente ha sparato e portava la pistola senza sicura», conclude l’ex pm. «Abbiamo detto la verità sin dall’inizio», ha detto ieri il questore di Arezzo Vincenzo Giacobbe. Eppure, non sono pochi i dati su cui – nella triangolazione forze dell’ordine-vertici della polizia-governo – si è creata un’asimmetria informativa (Giuseppe D’Avanzo, su Repubblica, ha parlato di «catena degli errori»). La stessa alla quale è ascrivibile la miccia che ha scatenato la feroce violenza ultras culminata con i fatti di Roma di domenica sera.
Le parole di Prodi. Non c’è ancora totale chiarezza sull’ora del ferimento di Sandri, che è avvenuta più o meno alle 9,10 di domenica. La prima indiscrezione arriva dai carabinieri e le agenzie la battono a cavallo di mezzogiorno. Eppure, nonostante siano passate più o meno tre ore, la ricostruzione è mendace. Si parla di «un morto accertato» come bilancio degli scontri tra «tifosi laziali e tifosi juventini», di «alcuni colpi d’arma da fuoco esplosi». In tre ore e passa, nessuno è stato in grado di dare un’informativa dettagliata né al presidente del Consiglio né al Viminale? Prodi, e siamo a mezzogiorno e mezza, esce dalla messa domenicale e dice: «Sono stato avvertito dal ministro dell’Interno: si tratta di uno scontro tra tifoserie e un incidente successivo». La teoria dello «scontro tra tifosi» è alla base della catena di errori, degli scontri di Bergamo e dei fatti di Roma.
Gli spari sopra. Amato attende le 18 di domenica prima di parlare. Proprio mentre ad Arezzo va in scena la «conferenza stampa senza domande» di Giacobbe. Si arriva a ieri con l’unica verità, quella dell’agente, veicolata dalla questura. «Ho sparato un colpo in aria e poi, mentre correvo, mi è partito un altro colpo». Alle 15.30 di ieri pomeriggio, proprio mentre emerge la testimonianza di un rappresentante di commercio che avrebbe visto il poliziotto sparare «a braccia tese», il questore di Arezzo cambia versione: «Probabile che l’agente sparasse alle gomme».

Da qui un altro interrogativo: possibile che il questore non sapesse sin da domenica della reale dinamica? Possibile che la versione dei colpi sparati in aria – la stessa tanto poco verosimile da aver ulteriormente accentuato la reazione feroce degli ultras – non fosse evitabile sin da subito, almeno per la questura di Arezzo? Cos’è successo tra domenica e lunedì? Tra le tante risposte possibili, ce n’è una più lampante: gli ordini arrivati ad Arezzo sembrano rispondere a un’altra strategia, anche mediatica. E la posizione dell’agente che ha sparato si è, chissà perché, aggravata.
Il giallo del primo sparo. Per fare piena luce, come chiedono tutti, su quanto successo «verso le 9» di domenica mattina all’autogrill di Badia al Pino est occorre chiarire un punto ancora oscuro. Stando ai dati (pochi e quasi tutti sbagliati) in possesso domenica sera, il primo dei due colpi dell’agente della polizia stradale sarebbe stato sparato a rissa ancora in corso. Almeno così vorrebbero le spiegazioni fornite dalla Questura (secondo cui, visto il parapiglia, la polizia avrebbe prima azionato le sirene della pantera e poi sparato in aria).
Il secondo colpo, quello letale, arriva quando la Renault su cui viaggia anche Sandri è partita e l’auto degli juventini è già sull’autostrada. Se ne deduce che tra il primo e il secondo sparo passano parecchi secondi. Da qui due domande. Quanto passa tra il primo e il secondo sparo? E soprattutto: se l’obiettivo era quello di dare un segnale di presenza delle forze dell’ordine e sedare la rissa, perché sparare un secondo colpo quando una delle due (o erano tre?) macchine è già lontana? La Mercedes. Resta il mistero sui tifosi juventini protagonisti della “rissa” con gli amici di Sandri. La loro auto non è ancora stata rintracciata e nemmeno loro, s’intende.
Per il questore Giacobbe (dichiarazioni di ieri pomeriggio) gli inquirenti stanno cercando – testualmente – «una Mercedes Classe A scura, probabilmente nera, con danneggiamenti alla fiancata destra e al tettuccio». Il questore ha quindi rivelato che, subito dopo il fatto, il primissimo segnale che era stato dato era di cercare la Mercedes, perché all’interno potevano esserci i responsabili dell’uccisione di Sandri. «Questo ci ha portato fuori strada nella prima mezz’ora». Da qui un interrogativo. Perché l’agente che ha sparato il primo colpo a rissa in corso non è stato in grado di fornire – quantomeno – l’esatto colore della vettura degli juventini? E poi: come ha fatto la Mercedes, che tra l’altro era stata segnalata come «l’auto dei responsabili dell’uccisione di Sandri», a volatilizzarsi nel nulla, per giunta nel mezzo di un’autostrada ultra-monitorata?
Il due video. Parte della verità sta nel video ripreso dalla telecamera a circuito chiuso dell’autogrill, quello sequestrato a caldo dalla polizia. Importantissime, poi, le registrazioni delle telecamere ai caselli. Se non nel primo, nei secondi sarebbe stato facilmente rintracciabile – e anche in poche ore – il numero di targa della Mercedes juventina. Quella su cui hanno viaggiato i testimoni chiave dell’uccisione di Sandri.
Amato, domenica, ore 18. Il suo primo intervento Giuliano Amato l’ha fatto tardi, a 9 ore dagli spari dell’Autogrill. Nella sua nota (ore 18) il titolare del Viminale si augura «che questa sera a Roma tutti diano prova di saper testimoniare in modo pacifico il proprio cordoglio». Quando il rinvio della partita è già nell’aria. Strano ma vero: alcune agenzie passano la dichiarazione del ministro dopo aver dato la notizia ufficiale del rinvio. Un altro tassello dell’asimmetria informativa. Un altro anello nella catena degli errori.
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