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Il sindacalismo governativo della "triplice"

di Antonio Di Giovanni

I sindacati sono famosi per gli scioperi, per i tavoli di concertazione, per le parate romane con i pensionati e per le riunioni all’immenso tavolo con il governo. E i contratti dei lavoratori? Gli aumenti in busta paga? La salvaguardia del posto di lavoro? Preistoria. L’epoca del padrone che dava del tu all’operaio ma non gli permetteva il contrario, è stata sconfitta proprio da quei sindacati che, anche se ideologicamente schierati, erano in sana concorrenza tra di loro e si facevano carico dei problemi dei lavoratori, di quei lavoratori che erano la maggioranza degli iscritti. Oggi, i sindacati gli iscritti li pescano tra i pensionati. Diffidenza? Rassegnazione? O molto più semplicemente delusione? Dalla nascita della triplice, legata con vincoli ferrei, il sindacato è diventato potere politico, grazie anche ad una nuova versione dell’antica formula della ‘cinghia di trasmissione’, che oggi non è più di collegamento con i partiti della classe operaia, bensì con le direttive di alcuni esecutivi. Ed è per questo che esso non gode più della fiducia di molti lavoratori. Chiunque, ormai, li vede come autentici fiancheggiatori dei governi di centrosinistra e, quindi, va da sé, non in grado di garantire quell’equità di cui ci sarebbe bisogno. Non a caso abbiamo o abbiamo avuto, nelle fila della sinistra parlamentare, i leader dei maggiori sindacati: Sergio D’Antoni, Franco Marini, Fausto Bertinotti, Giorgio Benvenuto e Sergio Cofferati. Le modificazioni intervenute nel sistema politico hanno inasprito e inciso profondamente sugli assetti del sindacato confederale. Mentre, nella prima Repubblica, le confederazioni storiche si specchiavano nel sistema politico, riflettendone simmetricamente la medesima immagine a suo modo pluralista, oggi, in un sistema bipolare, esse finiscono col riconoscersi solo in uno dei due sch ieramenti contrapposti.(Laici.it)

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