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Se Atene piange, Sparta non ride

di Felice Besostri

Opponendoci allo scioglimento dei DS nel PD, accanto alla critica del prevedibile abbandono del PSE e dell’Internazionale Socialista, abbiamo manifestato un convincimento: il socialismo non è un cane morto morto nel XX secolo. Ma tutti accelerano la spinta verso la sua cancellazione, sembra che la “lezione” abbia fatto scuola: meglio procedere per strappi e fatti compiuti, la cui concatenazione rende irreversibile il progetto, sfibrando critici ed oppositori. Ma questo disegno non passerà.

Lavorare per la costruzione in Italia di un partito con consistenza elettorale, valori ed insediamento sociale, paragonabili a quelli dei partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti europei è un’impresa difficile, ma in partenza non disperata. Un processo di rinnovamento/riunificazione richiede tempi lunghi in un paese, nel quale le divisioni, antiche e recenti, tra “socialisti” e “comunisti” hanno ancora un peso politico.
E' accaduto, invece, che si siano accelerati i tempi sia nella Costituente Socialista, che sul versante della “Cosa Rossa”. Con tutte le critiche al processo di scioglimento dei DS e di formazione del PD sembra che la “lezione” abbia fatto scuola: meglio procedere per strappi e fatti compiuti, la cui concatenazione rende irreversibile il progetto, sfibrando critici ed oppositori.

Dal lato Costituente Socialista l’acquisizione del compagno Gavino Angius, una volta che è stato perso per strada Peppino Caldarola, evita di porre al centro di un vero processo costituente, largo ed inclusivo, i rapporti tra l’area ex-PSI e Sinistra Democratica nel suo complesso. Dal lato Sinistra Democratica, al di là delle dichiarazioni ufficiali e tattiche (come sulla non adesione alla manifestazione del 20 ottobre), restano come interlocutori privilegiati PdCI, Verdi e Rifondazione.
Il richiamo al socialismo europeo ed internazionale non ha alcuna incidenza sulle scelte politiche, perché la dimensione mentale della sinistra italiana, dopo il crollo del sistema sovietico, è nazionale. Il nome più gettonato della futura formazione rosso-verde, unitaria o federativa, è, infatti “Sinistra italiana”. Un bel compromesso al ribasso, con la rinuncia, ancora una volta, alla menzione del “socialismo” nel nome del partito: cedimento ai Verdi analogo al cedimento alla Margherita consumato dai DS.
Opponendoci allo scioglimento dei DS nel PD, accanto alla critica del prevedibile abbandono del PSE e dell’Internazionale Socialista, abbiamo svolto un ragionamento più alto e manifestato un convincimento più forte: il socialismo non è un cane morto nel XX secolo. C’era in noi l’idea che si potesse, ed ancor più si dovesse, agire per un socialismo nel e del XXI secolo: compito affascinante perché senza miti e modelli di società precostituiti.

Beninteso, noi non ignoriamo che il PSE e l‘Internazionale Socialista sono allo stato involucri di coordinamento, anzi di consultazione, tra partiti nazionali. Diventa facile svilire la scelta di appartenenza internazionale, se si perseguono altri obiettivi di schieramento, ma ci si dimentica della valenza politica e simbolica di far parte della grande famiglia socialista europea ed internazionale. E però: senza una dimensione continentale e planetaria non esiste una politica di sinistra all’altezza dei nostri tempi. L’alternativa sarebbe una scelta nazional-statuale: il peggio per una sinistra degna di questo nome.
Passato il periodo delle grandi conquiste democratiche e sociali del XX secolo, la scelta per le libertà civili e per la conquista del potere per via elettorale hanno consentito alla sinistra di costruire uno stato sociale, rappresenta comunque un modello di società di cui andare orgogliosi, per quante ne siano le carenze.
Nell’epoca della globalizzazione lo stato nazionale non può incidere sulle scelte e controllare gli avvenimenti, anzi ne è una vittima, nel migliore dei casi uno spettatore, insieme con i popoli della periferia dell’impero della grande finanza e delle grandi multinazionali. Un declassamento nel rating del debito pubblico, un innalzamento dei tassi della Banca Centrale Europea o un crollo delle borse possono in qualunque momento vanificare qualsiasi legge finanziaria, anche quando questa fosse espressione delle scelte democratiche della maggioranza della popolazione di un singolo Stato.

Se Atene piange, Sparta non ride. La Sinistra Europea non solamente è più debole del PSE, ma esiste grazie all’impegno personale di Fausto Bertinotti, al supporto organizzativo di Rifondazione e ai soldi ripartiti dal Parlamento Europeo al gruppo della Sinistra unita. E quanto alle questioni di merito, consiglierei a chi critica il PSE per le contraddizioni dei partiti membri di andarsi a leggere i programmi nazionali dei partiti che fanno parte di Sinistra Europea.
Dunque? Se i problemi sono di questa portata e se i nodi da sciogliere sono gordiani, la domanda che noi sommessamente poniamo suona così: perché procedere così in fretta invece di darsi il tempo per levare lo sguardo all’orizzonte? Quando cesserà tutta questa frenesia dettata dall'esigenza di posizionarsi rispetto a eventuali elezioni anticipate, auguriamoci che si riprenda il filo di una riflessione vera, che certo non sostituisce l'azione politica, ma che ne costituisce anzi sempre il primo passo indispensabile. Siamo troppo vecchi e troppo convinti delle nostre idee per lasciarci impressionare dallo sfinimento tattico della sinistra italiana.

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