Intervista al Vice Ministro degli Esteri con delega per gli italiani nel mondo Franco Danieli

Gino Bucchino non è nuovo ad “urlare” le necessità degli italiani in Canada, anche a costo di essere definito un “rivoltoso”. La sua lettera aperta è più di una denuncia sulla rete consolare onoraria in Canada. L’on. Bucchino, è in buona fede, si inventa storie, è un folle oppure un inetto?

Io non parlo di Bucchino non voglio parlare di singoli. Io ho un programma di lavoro e questo programma di lavoro è fatto di tempi che sono i tempi necessari per riformare le strutture burocratiche del sistema amministrativo italiano. Io mi rendo conto che qualcuno che è abituato ad alzarsi la mattina, sia esso un medico o un imprenditore, e a decidere liberamente che tipo di investimento fare o che tipo di giornata organizzare sia insofferente o deluso rispetto ai tempi ed ai meccanismi tipici del sistema amministrativo italiano. Anche a me piacerebbe, non essendo un politico di professione ma un avvocato, organizzare l’amministrazione in maniera molto più rapida e celere. Questo sto cercando di fare fermo restando, ovviamente, i molti vincoli che sono i vincoli prima di tutto della contabilità dello Stato, delle compatibilità economiche, dei sistemi contrattuali, dei vincoli di bilancio e potrei andare avanti molto a lungo. Un sistema burocratico, è vero, che va snellito, che va ripensato radicalmente.
Se vuole io gliela dico tutta in maniera molto chiara. Il mio obiettivo, sto lavorando per questo anche se mi rendo conto che può essere complicato, è quello di avere, per quanto riguarda la rete all’estero, non una articolazione del bilancio nelle sedi ripartito per acquisto di matite, di temperamatite, di penne, di fogli di carta o di carta igienica. E’ facilmente immaginabile la complicazione. Avere un capitolo unico, un fondo unico che venga affidato al capo missione il quale gestisce in relazione alla missione che deve svolgere con autonomia amministrativa e ne risponda alla fine dell’anno. Questo è l’obiettivo, grande semplificazione, grande elasticità. Stiamo lavorando per semplificare il sistema. Già con la nuova finanziaria si passa, e questo è un passo avanti importante, dall’articolazione per capitoli ad una articolazione per missione. Non è ancora la rivoluzione copernicana, ma insomma un bel passo in avanti. Sulla rete consolare, io l’ho detto. La rete consolare è stressata sono anni che la rete consolare, anni, che vive in uno stato di stress. Nel contempo i ministri hanno, nel corso degli ultimi anni o decenni, sempre di più delegato compiti ed attribuzioni alle regioni che si sono venute rinforzando, sulla rete consolare all’estero si sono invece riversati compiti ulteriori che prima non erano previsti. Dal voto, per capirci, che ha portato in Parlamento i nostri cittadini residenti all’estero, alla raccolta di firme per il referendum, ai flussi migratori che ovviamente 15 o 20 anni fa non erano immaginabili in queste dimensioni. Cioè tutta una serie di ulteriori incombenze che si sono venute ad accentuare nel corso degli ultimi anni. Noi stiamo lavorando, noi stiamo lavorando. Già con questa finanziaria si segna una inversione di tendenza rispetto a questo stress che vive la rete consolare: aumento di risorse di personale di ruolo, di personale a contratto interinale, riqualificazione delle sedi da realizzare all’estero. Per quanto riguarda la rete onoraria io concordo, è una realtà di grande importanza, stiamo lavorando per riqualificare questa rete onoraria. Oggi abbiamo una rete onoraria vastissima ma frequentemente ci sono delle realtà che da anni non funzionano o funzionano pochissimo. In qualche caso ci sono Consoli onorari che sono onorari veramente di nome e di fatto più che esporre la bandiera ed avere il parcheggio assegnato, fanno poco, poca attività. L’obiettivo è quello, è in programma, l’ho anche comunicato questo nel mio intervento alla riunione al congresso annuale dell’UCOI dell’Unione dei Consoli Onorari in Italia, che il mio intendimento è quello di ridurre un po’ il numero dei Consoli onorari ovviamente eliminando quelli che, sulla base dei dati statistici, non hanno prodotto nulla. Di rafforzare, però, la rete onoraria dotandola di soldi, dotandola di servizi, affinché, in affiancamento a quella ordinaria, possa svolgere un compito che è un compito importante e prezioso.

La costituzione dei Comitati permanenti per gli italiani all’estero alla Camera ed al Senato sono il vero inizio di una politica meglio organizzata?

I Comitati permanenti di Camera e Senato non sono una novità ma la prosecuzione di una iniziativa che è presente da alcune legislature nella Camera dei Deputati. Ricordo che fu presieduta da Tremaglia e poi da Giovanni Bianchi quale sottocommissione della Commissione Esteri mentre nella precedente legislatura fu istituita al Senato. E’ la conferma di un interesse da parte delle istituzioni repubblicane a maggior ragione ora che abbiamo la presenza di 18 parlamentari eletti all’estero, del maggior interesse nei confronti delle comunità italiane nel mondo.

In epoche non sospette, parliamo dell’anno 2000, lei era Presidente del G.G.I.E. Cosa è cambiato nel Consiglio da allora quando organizzò la prima conferenza degli italiani nel mondo a parte la novità degli eletti.?

Gli eletti sono la novità più rilevante evidentemente. Il C.G.I.E, come ho sempre detto, ma come lo stesso C.G.I.E ha detto, è stato un po’ considerato il parlamentino degli italiani all’estero. In realtà, si tratta di un organo consultivo andato ad assumere, nel corso degli anni, una funzione più espansiva. Ha assunto ulteriori attribuzioni non previste dalla legge istitutiva. E’ chiaro che nel momento in cui vi è l’elezione diretta da parte dei cittadini elettori di 18 loro rappresentanti, si pone il problema di una armonizzazione dell’intero sistema della rappresentanza degli italiani all’estero e quindi vi è una discussione in corso alla quale anche il C.G.I.E stesso ha contribuito.Si prevede appunto una diversa riorganizzazione dell’insieme degli istituti di rappresentanza. L’intendimento è di andare, questo autunno, alla presentazione di un testo di modifica della norma che consente di rimettere a punto, tenendo conto della presenza dei parlamentari eletti all’estero, un po’ i vari istituti. Che questa nuova legge tenga conto del tempo che passa inesorabile e che tenga conto, altresì, della necessità di individuare strutture e strumenti ad hoc per continuare a mantenere un rapporto con le giovani generazioni di italiani nel mondo e quelli di origine italiane. Ricordo che il 2008 sarà l’anno nel quale convoglieremo a Roma la prima conferenza dei giovani italiani nel mondo.

Per quanto riguarda il Fondo Sociale Europeo, lei affermò in Commissioni Esteri del Senato, essere una priorità importante il coinvolgimento delle comunità italiane all’estero. Ci sono risultati confortanti in questo senso?

Il Fondo Sociale Europeo va tenuto assieme ai finanziamenti del ministero del lavoro per la formazione professionale. Un insieme che va considerato in maniera unitaria. Il Fondo Sociale Europeo fu una negoziazione che io feci con la dottoressa Pavan nel 2000 quando l’UE ci comunicò di non poter più continuare a finanziare i corsi di lingua italiana. Si trattava di perdere un importo rilevante, cinquanta sessanta milioni di euro. Questi importi furono appunto da me negoziati per riorientare queste risorse su altri settori. Per esempio, un rapporto di partenariato tra comunità italiane nel mondo appartenenti ai paesi dell’UE e Regione obiettivo 1. Poi si è sviluppato, nel corso degli ultimi anni essenzialmente nella precedente legislatura. Sugli esiti è utile riflettere. Sicuramente si poteva fare meglio, si poteva fare in maniera diversa. Subito abbiamo presentato un nuovo progetto ed attendiamo risposte da parte dell’UE contestualmente ai trenta milioni di euro che sono stati già svincolati con l’avviso che è il progetto è stato licenziato dal ministero del lavoro alla fine del mese di luglio. A questi trenta milioni se ne devono aggiungere altri dieci, sempre nel campo della formazione professionale. Sono stati accantonati proprio per verificare come sarà lo sviluppo operativo su questa prima tranche di trenta milioni. Saranno utilizzati ovviamente per coprire paesi che sono stati esclusi o per rinforzare paesi in base alle esigenze specifiche della formazione professionale dei cittadini italiani. L’obiettivo è quello di utilizzare in maniera positiva questi soldi. L’ho sempre detto, a me non interessa pagare degli stipendi ai formatori, a me interessa formare i cittadini italiani residenti all’estero.

Gli Istituti Italiani di cultura: lei ha parlato, nel luglio del 2006, in audizione Commissione Affari Costituzionali della Camera ed alla Commissione Esteri del Senato, di: best practices per i corsi di italiano realizzati dagli IIC; di formazione dei docenti e messa a disposizione di materiale didattico; creazione di un sistema unitario di certificazione della conoscenza dell’italiano; produzione di un programma televisivo promozionale-didattico di introduzione allo studio dell’italiano.

Questo che io dissi allora si sta realizzando. Rai International, il cui palinsesto sarà rinnovato in maniera radicale entro ottobre. Ha già cominciato a sperimentare, in questa fase, delle modalità di insegnamento a distanza delle lingua italiana. C’è una riflessione che abbiamo avviato con una conferenza fatta qui alla Farnesina oltre ad iniziative svolte con la mia presenza in Germania a Stoccarda. Luogo critico per alcuni aspetti, sul tema della riforma della legge 153. Stiamo lavorando. Ci sarà un disegno di legge in autunno di riforme sulla legge 153. In collaborazione evidentemente con il ministero dell’istruzione. Sono diversi gli aspetti su cui incidere. La 153 che era rivolta agli emigranti o ai figli degli emigranti. E, per i figli degli emigranti oggi sempre di più, la legge 153 è uno strumento importante che è stato dilatato sino a diventare, di fatto, una costellazione di corsi di lingua per gli italiani ma anche, forse soprattutto per stranieri desiderosi di apprendere l’italiano. C’è la collaborazione con le Università, con le Università per stranieri che stanno in Italia che è importante. C’è la Dante Alighieri che ha una sua rete molto vasta; c’è il tema della unificazione delle certificazioni. Ci stiamo lavorando, io confido di poter realisticamente, nel giro di qualche mese, arrivare ad una certificazione unica. Sono diversi strumenti una pluralità di strumenti, alcuni vecchi che vanno rimessi a posto, altri che vanno potenziati ma sono strumenti diversi che vanno soprattutto armonizzati tra di loro.

Franco Danieli ha attivato e ne è il Presidente, del Comitato promotore dell’Università Italolatinoamericana, interessante interscambio culturale. Ci informa sullo stato delle cose?

Sto lavorando con il sottosegretario dell’Università Luciano Modica ad un progetto che coinvolge l’Università di Bologna, quella di Pisa, quella di Genova, la Università romane e verosimilmente una Università del sud Italia in collegamento con un numero non limitato ma selezionato di Università di paesi latino americani. L’obiettivo è quello di realizzare un sistema che consenta non a poche decine di laureati di venire in Italia a fare dei Masters. L’obiettivo, nel medio periodo, è quello di far studiare in Italia alcune migliaia di studenti latino americani per l’intero corso di laurea. Sarà una struttura consortile in qualche modo con l’obiettivo di arrivare, nel medio periodo, ad avere una sede universitaria sul modello dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze. Quindi non Università che si mettono assieme ognuno mantenendo la propria autonomia, ma Università che si mettono assieme per creare una struttura comune, una identità ed anche una autonomia forte. Una nuova entità con una vocazione specifica per dare risposte, percorsi formativi anche di collaborazione, di cooperazione. Una realtà, quella latino americano, che non ha bisogno di commenti per comprendere quanto sia importante per il sistema Italia.

E’ tra i fondatori del Partito Democratico Europeo (P.D.E) e ne fa parte in Consiglio Direttivo, cosa pensa del dibattito intorno e dentro il PD? Ad ottobre chi voterà alle primarie e perché?

Io condivido ed ancor prima della mia esperienza politica ho fatto parte di una formazione politica che aveva tra i suoi obiettivi, anche nel suo nome, la prospettiva del Partito Democratico. Il dibattito che si è sviluppato, è un dibattito necessitato. E’ un percorso più che un dibattito necessitato dai tempi che cambiano. La crisi di alcune appartenenze, motivata dal fallimento di alcuni esempi realizzati e realizzati male evidentemente, il crollo del muro di Berlino, la fine dell’Impero sovietico, fa si che si parli di nuovo, si parli di diverso. Tutto ciò ha portato ad un superamento di quelle che erano le contrapposizioni più ideologiche che programmatiche e progettuali. Questi superamenti, hanno segnato tanti anni di storia italiana e ovviamente anche il cammino verso il PD. Si tratta di un cammino di modernizzazione del paese. La scommessa è quella di stare con storie diverse con percorsi politici diversi con sensibilità diverse all’interno di un unico contenitore. Una semplificazione che i cittadini apprezzano. Starci, però, con pari dignità, con le stesse possibilità, con pari opportunità, per fare politica, per impegnarsi politicamente. E’ un passaggio storico, al di là poi del dibattito massmediologico quotidiano che a volte banalizza. Provate a pensare a ritornare indietro nel tempo. Proviamo solo, anche sino a 10-15 anni fa, ad immaginare uno scenario simile. Nessuno avrebbe scommesso una lira allora. E’ una operazione di forte innovazione del sistema politico italiano che mi auguro possa trasformarsi e possa contribuire a trasformare, innovare anche il sistema istituzionale italiano. Naturalmente la mia posizione è nota, io voterò per Veltroni . Sono contento, però, che ci siano più competitori alla carica di segretario perché se primarie devono essere, primarie vere devono essere e mi pare che, insomma, ormai di primarie vere si tratti nel senso che il numero dei competitori e anche la levatura di questi, la qualità dei competitori di Veltroni è tale che stimolerà un dibattito politico rilevante, renderà queste primarie uno esercizio democratico reale.

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