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Intervista al Senatore Claudio Micheloni

Il sen. Claudio Micheloni: «Una commissione permanente per gli italiani all’estero e una sottocommissione per Rai International e Rai in Europa»

Per il suo impegno pregresso, lei ha una grande esperienza di emigrazione e di immigrazione, a maggior ragione è un addetto ai lavori nel vero senso della parola

Penso di si. Nessuno ha la ricetta giusta per le integrazioni, queste sono esperienze complesse, però il bagaglio che ho accumulato, che poi è la mia esperienza, non è sicuramente la migliore o la peggiore ma intendo bene metterle al servizio della politica italiana. Sono convinto che, se i parlamentari della circoscrizione estero non intervengono sulla politica nazionale, ben presto ci si chiederà perché c’è la circoscrizione estero. Non possiamo limitarci solo ad affrontare i giusti problemi della nostra gente perché per quello siamo stati eletti però, come in tutti i parlamenti del mondo, in tutte le democrazie del mondo, bisogna trovare consenso sulle proposte che noi apportiamo per i problemi della circoscrizione estero e per trovare consenso dobbiamo essere partecipi ed attivi anche sui problemi della politica interna. In modo particolare, sulla politica degli immigrati in Italia. Il nostro ruolo non deve esaurirsi solo per gli italiani all’estero, perché se ci limitiamo a questo, secondo me, falliamo. Questa è la mia convinzione.

Allo stato delle cose, si ritiene soddisfatto del lavoro fatto sin qui tra Senato e Camera?

Direi di si. In queste ultime settimane ci sono segnali concreti di presa di coscienza della presenza dei parlamentari esteri. I primi mesi sono serviti a far capire che ci siamo anche noi perché nessuno era preparato al nostro arrivo qui. Non solo sul piano politico, ma anche sul piano concreto. Siamo sbarcati e bisognava far capire che eravamo presenti.
In queste ultime settimane, però, ci sono dei segnali politici importanti soprattutto qui al Senato.
E’ stata depositata una mozione da parte del gruppo dell’Ulivo che chiede l’insediamento di una commissione speciale permanente per le politiche degli italiani nel mondo. Non una commissione “ghetto”. Sarà una commissione formata da 29 senatori e noi eletti all’estero siamo solo 6, dunque, una commissione trasversale. Non è una “riserva indiana” ma uno strumento indispensabile per noi per affrontare i problemi specifici della nostra circoscrizione insieme a tutti gli altri senatori. Questo è un segnale fortissimo, è una delle prime cose che avevo chiesto e si è materializzata in una mozione dell’Ulivo proprio nella settimana scorsa (per chi legge è il 22 ottobre).
Un altro segnale positivo che neanche era stato sollecitato, è stata la mia nomina alla Commissione di vigilanza ed indirizzo della Rai. Ci sono segnali concreti, adesso l’effetto reale lo vedremo nelle prossime settimane, le più difficili di ogni anno legislativo, quello della finanziaria.
Ci saranno tutti i nostri emendamenti, tutti i problemi classici che dobbiamo affrontare, vedremo in che modo saremo capaci di far pesare la nostra presenza e di essere anche convincenti.
Il primo vero bilancio lo potremo fare la sera che si vota la finanziaria se saremo riusciti a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. Per questo, dobbiamo essere molto presenti sul dibattito politico generale, non solo sui nostri problemi.

Il CGIE, grande questione. Abolirlo o tenerlo?

Per quanto mi riguarda, l’ipotesi di abolire il CGIE, non esiste, non è mai esistita. Questo CGIE, come è adesso, non è più funzionale alla presenza dei parlamentari. Va riformato con urgenza, questa è la mia convinzione, su questo punto non sono disposto a trattare se abolirlo o no, non esiste l’ipotesi perché è uno strumento che è soprattutto indispensabile per noi parlamentari, per avere collegamenti con i territori che dobbiamo rappresentare. Bisogna, invece, cambiarne la struttura, cambiarne la funzione, il ruolo, su questo è necessario ed urgente metterci al lavoro.
Personalmente, ho proposto al CGIE, di creare un tavolo largo perché il CGIE non può auto riformarsi e non può essere neanche solo il parlamentare a riformarlo. Occorre il consenso, il coinvolgimento delle associazioni, dei sindacati, degli enti, dei partiti, dei Comites in prima linea, del CGIE stesso e dei parlamentari. Ciò, credo, sia assolutamente indispensabile.
Mi si dà la responsabilità della querelle, ma io non la vedo così. Ho fatto la scelta di dimettermi perché ritengo assolutamente incomprensibile che un parlamentare sia anche membro di un consiglio consultivo e poi, invece, è chiamato a rappresentare e difendere nelle sedi parlamentari. Mi sono dimesso per rafforzare la mia posizione come parlamentare indipendente dal Consiglio Generale e per rafforzare il Consiglio Generale che deve prendere le sue decisioni in totale autonomia.
La scelta delle dimissioni andava fatta indipendentemente dalla riforma che, probabilmente, prevederà l’incompatibilità per queste due funzioni. Mi è sembrato normale anticipare questa cosa.

Il problema dell’informazione, l’affronterà da vicino allora una volta presente in commissione vigilanza Rai?

Direi che l’informazione è uno dei grossi problemi. Dobbiamo essere molto attenti nella commissione vigilanza Rai. Ho chiesto l’insediamento di una sottocommissione permanente per Rai International e Rai in Europa, per le radio che spesso dimentichiamo ma che sono un canale importante. Spero che questa commissione si insedierà rapidamente ed affianco a questa anche la sottocommissione. Bisogna riprendere il discorso della carta stampata che, per le prime generazioni, resta uno dei canali importanti dell’informazione. Non credo che si possa continuare a lungo con i finanziamenti a pioggia che non soddisfano nessuno, non risolvono i problemi di nessuno e non migliorano la qualità del prodotto. Neanche si può continuare sempre a spremere il volontariato.

Il nuovo movimento “Italiani nel mondo” del senatore De Gregorio, cosa ha a che fare con gli italiani all’estero o non è altro che una manovra politica?

Allora, il signor De Gegorio, con gli italiani nel mondo, non ha nulla a che fare, nulla a che vedere e questo deve essere ben chiaro. L’unica esperienza migratoria del senatore De Gregorio, che si potrebbe paragonare con la nostra, è la sua storia personale di migrazioni nei partiti politici italiani. Noi abbiamo emigrato nei paesi per lavorare e lui emigra per interessi suoi personali nei partiti politici italiani.
Quel signore ci strumentalizza semplicemente, ci utilizza come strumento politico, lui, con noi, non ha assolutamente nulla a che vedere. Però, non va sottovalutato il rischio di strumentalizzazioni di questo tipo. E’ facile, su un collegio di tre milioni di elettori, trovare degli opportunisti che son pronti ad agganciarsi al treno di un altro opportunista. De Gregorio non avrà nessuna presa sulla collettività, nessun effetto sulla gente. Egli è altro da noi.

Se dipendesse solo da lei, cosa realizzerebbe immediatamente per gli italiani all’estero?

Per una cosa sola non sono in grado di rispondere, ci sono alcune cose che, secondo me, vanno affrontate in parallelo, in questo senso ci vorrà un po’di tempo. Posso parlare almeno di tre cose da mettere sullo stesso piano. Due che riguardano il nostro collegio estero. Una riforma non delle rete consolare perché questo sarebbe un modo per non modificare le cose, una proposta gattopardesca cambiare tutto e non cambiare niente, io propongo una profonda riforma del Ministero degli Affari Esteri. Bisogna assolutamente entrare in quel ministero, riformarlo, ripensarlo in modo moderno e renderlo efficiente per l’insieme della politica estera italiana di oggi. Nello stesso modo una riforma della diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo, non solo la loro difesa, ma una diffusione che, nel contempo, la valorizzi. Perché facendo questo, sviluppando la presenza italiana nel mondo, si sviluppa la presenza italiana economica nel mondo.
Queste due cose, sul collegio, hanno una priorità assoluta. Parlando di riforma del ministero degli Esteri, dentro c’è il problema dei Consolati, dei passaporti e via discorrendo, insomma, tutto è collegato a questa riforma. L’altro aspetto è far cambiare la filosofia fiscale in Italia nei confronti degli italiani all’estero. Si dice che non paghiamo le tasse. Non è vero. Ne paghiamo molte e ne paghiamo anche di ingiustificate. Bisogna pensare a tutto un altro tipo di rapporto fiscale con gli italiani all’estero sui beni che i nostri genitori hanno costruito in Italia e che adesso ereditano le nuove generazioni. Investimenti fatti in Italia che hanno per decenni salvato l’economia italiana, hanno equilibrato le nostre rimesse, hanno riequilibrato la bilancia dei pagamenti per tanti anni. Oggi, l’unico riconoscimento che viene dato dallo Stato centrale, è di tassarli in modo un po’fuori dalle righe.

Come la mettiamo, allora, con la no tax area? Gli italiani all’estero dovranno fare la dichiarazione dei redditi superiori a 3000 euro? Questa finanziaria è utile o no per loro?

Il problema della no tax area è stato un problema subentrato col decreto Bersani e che, comunque, con il decreto fiscale del 3 ottobre, è stato sospeso per il 2006. Quindi, un primo risultato, su questo, l’abbiamo ottenuto e adesso, sulla no tax area, in questa fase di finanziaria, bisogna fare un lavoro approfondito perché una parte delle persone che sono toccate da quella proposta presente nel decreto Bersani, vanno protette cioè i nostri pensionati, le persone che vivono con dei redditi molto bassi, ma ci sono anche persone che sono all’estero proprio per non pagarle le tasse, dunque, quelle persone lì vanno distinte e le tasse le devono pagare. Se poi dobbiamo fare la dichiarazione dei redditi, la faremo, in ogni paese civile e democratico si fa, ciascuno denuncia i propri redditi e, siccome io sono abituato a pagare le tasse, non mi scandalizza se devo fare la dichiarazione dei redditi anche in Italia. Bisogna uscire da questo piagnisteo permanente del povero italiano all’estero. Se dobbiamo fare le dichiarazioni dei redditi le faremo poi chi deve pagare pagherà. Ciò che ritengo ingiusto è che ci siano i furbi che evadono.
Questa finanziaria ha dato un primo segnale, almeno qui, i parlamentari della maggioranza, avevano preso una posizione molto chiara col governo e cioè che non andavano toccati i capitoli per gli italiani all’estero.
Ci troviamo con una finanziaria con 14 milioni in tabella A per coprire tagli di 12, vuol dire che questa prima nostra presa di posizione ha avuto effetto. Però non è sufficiente, non è soddisfacente. Adesso sta a noi lavorare per cambiare questa finanziaria con il lavoro nelle commissioni, negli emendamenti. Non mi faccio illusioni, sarà un lavoro difficile però la battaglia va fatta per tentare di portare a casa qualche risultato.

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