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Intervista al vice presidente del Senato Baccini

Da sottosegretario agli esteri con delega per l’America latina, si è dedicato, nella passata legislatura, ai problemi degli italiani all’estero con molta passione tanto da essere ricordato con affetto, quali problematiche affrontò risolvendole e quali invece non ebbe il tempo di trattare?

Riferendoci all’america latina, va detto che nel periodo del mio impegno come sottosegretario quella regione del Mondo ha vissuto un periodo di drammatica crisi economica. Il momento più importante e difficile è stato senza dubbio quello che è iniziato nel dicembre 2002, quando è esplosa la crisi Argentina. Siamo intervenuti immediatamente in soccorso di un paese che è costituito per la maggioranza da popolazione di origine italiana: il nostro è stato il primo e, per un lunghissimo periodo, l’unico Paese ad aiutare materialmente l’Argentina attraverso una serie di iniziative di solidarietà. Da lì in avanti abbiamo monitorato con molta attenzione tutto ciò che accadeva. Quella crisi, poi, coinvolse anche altri paesi dell’area e, com’è ovvio, mi sono occupato anche dei problemi che si crearono in Paraguay, Uruguay, Venezuela, Brasile e via di seguito. Abbiamo fatto molto, cercando anche di occuparci dell’annosa questione degli oriundi, i discendenti di italiani emigrati anni addietro. Oltre a tutto ciò, ho portato avanti con grande convinzione moltissime iniziative legate a progetti di Cooperazione allo sviluppo e di cancellazione del debito pubblico di molti paesi dell’area latino americana: il mio motto è stato sempre quello di non fare carità fine a se stessa, ma di aiutare il rilancio di quei paesi. In tal senso la definizione più adatta era quella di riconversione del debito, ovvero di accordi che imponevano agli stati in questione di utilizzare quei soldi per migliorare le condizioni di vita della popolazione. Nacque così la “diplomazia preventiva”: evitare derive populiste in aree del Mondo che si sarebbero potute trasformare in luoghi di reclutamento per il terrorismo internazionale. Di strada ne abbiamo fatta molta, anche se spesso si è parlato poco di queste iniziative. Debbo essere onesto: sono soddisfatto lo stesso, perché mi sono reso conto che ciò che fa notizia è solo il conflitto. Noi i conflitti li abbiamo evitati: la diplomazia preventiva non ha fatto notizia, ma ha fatto bene.

Se avesse potuto continuare quella esperienza oggi, da vice ministro con delega per gli italiani nel mondo ed, in più, 18 eletti all’estero, 12 deputati e 6 senatori, le cose sarebbero più agevoli?

La strada che ho tracciato era quella giusta. Avere l’appoggio di 18 rappresentanti nel parlamento eletti all’estero avrebbe potuto aiutare ad avere un filo diretto ancor più forte. Nella mia esperienza agli Esteri, però, mi sono affidato molto alla rete diplomatica italiana che mi ha dato sempre un’assistenza perfetta consentendo al Governo di essere sempre informato delle problematiche internazionali. Parlare di condizioni di lavoro più agevoli, quindi, mi risulta difficile o, comunque, non mi sembra corretto fare paragoni tra due situazioni totalmente differenti tra loro.

Questa finanziaria finisce con l’aggravare ulteriormente la posizione degli italiani all’estero soprattutto con l’abolizione della no tax area. Una delusione. Gli italiani all’estero non hanno certo bisogno di nuove tasse. Occorreva questo governo Prodi per rimpiangere Berlusconi?

Credo che il Governo Berlusconi del quale io ho fatto parte prima come Sottosegretario e poi come Ministro abbia fatto tantissimo per gli italiani all’estero. Non ultima la legge che ha consentito loro di eleggere direttamente dei loro rappresentanti in Parlamento. In quel Governo, mi preme ricordarlo, c’era un Ministro e un Ministero per gli Italiani all’estero. Oggi c’è un vice ministro con delega. Non credo sia esattamente la stessa cosa e penso che tutti debbano riflettere su questo aspetto.

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