Intervista all’on. Marco Fedi

L’on. Marco Fedi, capolista dell’Unione nella ripartizione Asia, Africa ed Oceania

“Azione preventiva, di monitoraggio e, per ultima, l’azione politica in senso stretto di discussione in aula” questa la strategia del gruppo dell’Ulivo.

Voi deputati eletti all’estero avete un denominatore comune: le stesse difficoltà a parlare in Parlamento e, probabilmente, molti di voi hanno anche degli stop da parte dei loro capigruppo. E’ vero?

Posso dire onestamente che noi abbiamo sentito alcune esigenze in maniera forte e, quando queste esigenze sono state così forti da farci rompere gli indugi chiedendo al gruppo di intervenire, lo abbiamo fatto. Sto parlando, ad esempio, del decreto Bersani e della questione che riguarda in particolare gli italiani all’estero cioè la nota no-tax area. Su questo tema siamo intervenuti sia in un dibattito generale, sia presentando un ordine del giorno. Dobbiamo essere noi, all’interno dei nostri gruppi, a far sentire con forza i temi che ci riguardano. Farci promotori di una azione forte all’interno dei gruppi politici per arrivare in aula e presentare le nostre posizioni senza indugi. Soprattutto all’interno dell’Ulivo che è un gruppo molto ampio dal punto di vista numerico e all’interno del quale esistono diversità ovvie tra le parti politiche dovute alle diverse provenienze elettorali, esistono delle diversità. Lo si è notato con il decreto Bersani, per esempio, che tocca diversi interessi. Occorre essere disponibili sulle necessità di tutti e questo non è sempre agevole. Dalla prossima finanziaria, affronteremo i problemi monitorando l’evoluzione delle discussioni arrivando pronti in aula con ordini del giorno chiedendo un confronto preliminare preventivo al governo per evitare che ci siano sorprese. Azione preventiva, di monitoraggio e, per ultima, l’azione politica in senso stretto di discussione in aula. Quando non saremo d’accordo non mancheremo di farci sentire, ci sentiamo liberi di farlo anche all’interno del gruppo di appartenenza.

Sì, ma i numeri sono quelli. In aula l’on. Fini ha minacciato che lo scontro politico sarà trasferito nelle piazze e trasformato in scontro sociale se il Governo porrà la questione di fiducia per la finanziaria.

In un sistema bicamerale perfetto come quello italiano, mandare indietro un provvedimento modificato alla Camera e farlo tornare al Senato, è comunque una perdita di tempo. Qui, capisco che l’opposizione gioca sull’elemento legato al fatto che al Senato la maggioranza è ridotta e, quindi, cerca di mettere in difficoltà il Governo. Su questo aspetto, la maggioranza dovrà fare in modo che provvedimenti importanti debbano partire dalla Camera anziché dal Senato per avere più possibilità di discuterli, più tempo per approfondire i temi. La minaccia dell’on. Fini, poi, si inquadra nell’ordine delle cose. Non è la prima volta che il centrodestra ha organizzato manifestazioni di questo tipo così come il centrosinistra. Non credo che i cittadini italiani, in questo momento, si sentano minacciati dal decreto Bersani, questa è la mia opinione. Forse alcune categorie si sentono toccare, ma bisognerà continuare, con loro, a discutere per capire se questo decreto avrà degli effetti negativi, in quel caso sarà necessario rimodularli. Sono convinto, però, che gli effetti positivi del decreto Bersani, siano di gran lunga superiori a quelli negativi. Gli interventi di Fini e di Berlusconi sono molto legati alla politica di fondo e cioè della tenuta della maggioranza. Credo che ciò sia poco serio perché chi vuole discutere in maniera approfondita del decreto Bersani o di ogni altro provvedimento, bisognerà che lo faccia nelle commissioni e con atteggiamenti costruttivi piuttosto che ostruzionistici. Da parte dell’opposizione c’è una posizione pregiudiziale nei riguardi della maggioranza, come se per ogni provvedimento futuro si farà ricorso all’istituto delle fiducia. Non è stato sempre così ed io spero che non sarà così. Sino ad oggi, l’opposizione non ha mostrato disponibilità ad atteggiamenti costruttivi.

Ritorniamo ai problemi “dell’altra Italia” come la definisce Vittorio Zucconi, cioè degli italiani all’estero, è vero o no che le loro problematiche occupano l’ultimo posto in Parlamento?

Non sono d’accordo. Sono però d’accordo che dobbiamo fare un lavoro importante con l’opinione pubblica italiana, con i giornalisti italiani per fare emergere meglio le nostre specificità. Oggi, tutto ciò non avviene, non emergono le nostre specificità ed i grandi quotidiani ci ignorano. Anche l’Unità, che è un giornale serio. Il Giornale e Libero, invece, hanno fatto una campagna di stampa negativa focalizzando i costi della compagine eletta all’estero, polemizzando strumentalmente sulla settimana lunga ed il mese corto. La campagna stampa contro, ha ignorato le serie motivazioni della settimana lunga e mese corto perché fondata, per rendere il lavoro degli eletti all’estero, più efficace. Sette o dieci giorni in più al mese, consentirebbero ai deputati delle circoscrizioni estero, di avere un migliore rapporto con il territorio, proprio come fanno i deputati eletti in Italia con i loro elettori. In ogni caso, questi sono metodi di lavoro già in uso in molti parlamenti. Non voglio parlare di quello australiano perché è molto lontano e, comunque, è a sessioni e nelle sessioni si lavora in maniera molto intensa e si produce molto di più che in Italia. Basta guardare al Parlamento Europeo.

In Italia, vige un regolamento molto vecchio, forse qualcuno potrà pensare che sia prematuro che un neo eletto pensi in questo modo, ma ritengo che le procedure, i regolamenti parlamentari in Italia, siano datati. Si perde molto tempo, tre giornate di interventi ripetitivi su un provvedimento di questo tipo con poco spazio per le commissioni, luogo dove dovrebbero avvenire gli approfondimenti seri. E’ un danno per il costo della politica, per il Paese e per i provvedimenti che ritardano ad essere approvati. Sui costi che dobbiamo sostenere, noi eletti all’estero, abbiamo un po’ di imbarazzo ad ammettere che costeremo qualcosina in più, ma è logico. Dobbiamo visitare una ripartizione nella quale siamo stati eletti per consolidare, con essa, il contatto diretto e, per fare questo, è necessario affrontare dei costi che riguardano i continui viaggi tra la residenza ed il posto di lavoro cioè il Parlamento. Abbiamo necessità di uffici elettorali seri ma su questo non si è ancora raggiunto un accordo con la Presidenza della Camera e del Senato. C’è la necessità di un aumento delle quote anche perché non pensiamo affatto a forme di precariato per i contratti di lavoro che stipuleremo con i collaboratori.

Lei, di quali problemi si fa latore in ordine di priorità?

Innanzitutto la rete consolare. Dalla prossima finanziaria pensiamo a razionalizzare l’intera rete consolare che è l’immagine dell’Italia all’estero ma significa soprattutto un servizio ai cittadini.

Abbiamo sollevato una interrogazione al ministro del lavoro per quanto riguarda la sanatoria sugli indebiti Inps chiedendo maggiore attenzione ai problemi delle previdenza sociale. Le nostre pensioni all’estero, devono essere degne, il sistema deve essere efficiente, non può essere coercitivo. Abbiamo chiesto in un’altra interrogazione parlamentare, anche una revisione del sistema di pagamento delle pensioni perché è un sistema che appesantisce la rete consolare perché è questa che deve farsi carico della questione. Abbiamo chiesto un sistema di pagamento con rapporto diretto con i pensionati all’estero e la verifica delle esistenze in vita e del mantenimento dello stato vedovile. Abbiamo posto all’attenzione del Governo, come priorità assoluta, la questione degli istituti di lingua e cultura italiani per cui non accetteremo tagli al capitolo di bilancio che negli anni è stato eroso anche dall’inflazione. Abbiamo posto la questione della informazione per cui il vice ministro Danieli ha indetto una apposita conferenza, ci aspettiamo che il CdA della Rai, sviluppi un progetto organico nuovo per l’informazione estera, internazionale. In questo nuovo progetto, è prevista una posizione strategica di Rai International. In più abbiamo l’intenzione di rafforzare ancora di più l’esercizio del diritto di voto con il metodo per corrispondenza quindi pensare ad una riforma della legge n. 459 del 2001 e rendere così ancora più forte il voto degli italiani all’estero.

Voi eletti all’estero siete una “razza” di deputati a parte se mi è consentito questo termine, non sembrate vincolati dalle logiche di partito. Perché non lavorate tutti insieme?

Esistono due strumenti già disponibili all’interno della commissione Affari Esteri della Camera dei deputati noi potremmo costituire il Comitato Permanente per gli Italiani nel mondo composto dai membri della Commissione Affari Esteri che vogliono occuparsi delle materie che riguardano gli italiani all’estero lasciando le porte aperte a tutti quei parlamentari interessati facenti parti di altre commissioni. Al Senato, c’è la possibilità di costituire il Comitato Permanente e con questi strumenti avremmo già la possibilità di riunirci con il nostro personale di segreteria per fare le nostre proposte, le nostre riflessioni e da questi organismi far partire le nostre proposte. E’ possibile anche arrivare ad ipotizzare un gruppo interparlamentare tra deputati e senatori che si occupino di queste cose così come è possibile farlo informalmente. Pensare però che si possa creare un gruppo unico degli italiani eletti all’estero alla Camera ed al Senato in cui entrino a far parte tutti i rappresentanti delle varie forze politiche delle varie coalizioni, credo, metterebbe in discussione comunque il fatto che bisogna essere noi a cambiare il modo in cui i partiti politici e le coalizioni, vedono, partecipano e lavorano sui temi degli italiani all’estero. Se noi rinunciamo a questo, perdiamo una opportunità per trasformare anche il modo in cui si fa politica in Italia. Se noi usciamo dai nostri gruppi, rinunciamo a questo, forse saremmo in grado di scrivere meglio un progetto di legge, trovare consenso tra noi immediatamente però, dobbiamo riuscire a fare questo utilizzando gli strumenti di confronto a disposizione mantenendo fortemente il legame con i gruppi perché i gruppi poi sono quelli che possono davvero cambiare le cose ed intervenire anche su altre questioni. Faccio parte della Commissione Affari Esteri, da poco c’è stata l’audizione del ministro degli Affari Esteri Massimo D’Alema, noi ci occupiamo anche della politica estera e guai se così non fosse. Certamente dobbiamo farlo con attenzione per poter intervenire propriamente in discussioni così complesse, siamo parlamentari della Repubblica italiana. Per quanto mi riguarda, la mia ripartizione è quella che comprende il medio-oriente, il Libano. Ho il dovere di occuparmi anche di quegli aspetti e spero, in un prossimo futuro, di visitare anche Israele e di avere l’opportunità di conoscere meglio la comunità italiana stanziale in quei territori e di fare anch’io la mia parte in politica estera. Proprio in questi giorni, sui mezzi di informazione australiani, ho parlato delle politica estera italiana, della nostra posizione molto chiara che è venuta fuori dalla Conferenza di Roma sul cessate il fuoco immediato e per il corridoio per gli aiuti umanitari e trovare una posizione diplomatica alla crisi che possa essere condivisa da Israele. Secondo me, questo lavoro è altrettanto importante e ciascuno di noi lo deve svolgere dalle proprie posizioni politiche. Quando, però, si tratta di trovare una posizione unica, strategica che sia la posizione per la pace, ho avuto modo di notare che anche i parlamentari del centrodestra sono molto vicini alle nostre posizioni.

Il CGIE è un organo inutile, obsoleto, va abolito? Qualcuno di voi lo pensa.

No. Non credo che il CGIE debba essere abolito, mi sorprende questa cosa per la semplice ragione che noi abbiamo un ruolo importante che è quello di essere qui in Parlamento a fare i nostri interventi, proporre soluzioni dal punto di vista normativo, legislativo, a lavorare con le forze politiche e con i gruppi, mentre il Consiglio Generale per gli Italiani Estero ha un ruolo che noi non saremmo mai in grado di svolgere. Infatti, il CGIE, riflette, pensa a soluzioni, propone nuove prospettive, dirò di più, è molto ingiusto che qualcuno la pensi così perché la maggior parte del lavoro in termini di interrogazioni, di riflessioni anche di progetti di legge, è già stato fatto dal CGIE. Analisi, proposte, documenti, ordini del giorno, mozioni, oggi per la prima volta si possono trasformare in atti parlamentari, in qualche caso anche in posizioni originali ed innovative per l’Italia oltre che per le comunità estere.

Dire che il CGIE è inutile è una stupidaggine, anzi, gradirei che l’affermazione venisse riportata proprio in questi termini. Il CGIE è utilissimo all’Italia, al Parlamento italiano ed a noi parlamentari eletti all’estero. Se così non fosse, se qualcuno pensasse che il CGIE può essere eliminato, vuol dire che non ritiene importanti neanche i Comites che invece lavorano e sintetizzano i temi locali entrando a far parte dell’esperienza CGIE. E’ una catena importante di collegamento che non dobbiamo perdere, se la perdiamo, rinunciamo a spazi di democrazia ma anche a spazi di riflessione politica.

Il vice ministro Danieli non ha ripreso dove aveva lasciato Tremaglia, non è che per distinguersi ad ogni costo da Tremaglia si avvia verso una linea non tanto condivisa?

No, Tremaglia ha svolto un ottimo lavoro e come ministro per gli italiani nel mondo non possiamo che sostenere questa tesi e cioè che nel momento in cui era indispensabile che intervenisse, è intervenuto. In alcune situazioni abbiamo risolto diversi problemi inerenti la finanziaria o il decreto taglia spese di Tremonti o altro. Il ministro Tremaglia era costretto ad intervenire perché in quel momento c’era una maggioranza di governo sensibile agli italiani all’estero che ha capito la nostra realtà. L’altro problema è che il ministro Tremaglia ha lavorato da solo all’interno degli Affari Esteri in un continuo conflitto di competenze tra il ministro e la Direzione Generale del ministero Esteri. Con il vice ministro Danieli, abbiamo ora la possibilità di avere un sottosegretario pesante con un peso politico forte all’interno dell’amministrazione degli Esteri. Le dichiarazioni programmatiche del vice ministro Danieli, per ora solo al Senato, sono state molto chiare. Ci sono, è vero, dei punti in cui personalmente divergo dalla sua interpretazione per quanto riguarda la cittadinanza dove egli prevede l’obbligatorietà della conoscenza della lingua e della cultura italiane. Secondo me, invece, basterebbe un giuramento a seguito di un colloquio con il Console o con un funzionario del consolato, affinché questa persona sia consapevole degli obblighi, dei doveri e dei diritti che da questo giuramento scaturiscono. Al vice ministro Danieli chiediamo un tavolo di concertazione sulle priorità e sulle proposte da fare, sia con i parlamentari eletti all’estero, sia con il CGIE, per questo siamo in fiduciosa attesa di un incontro politico in questo senso.

Voi rappresentate la grande novità di questo parlamento da quando questa Repubblica è stata costituita, sembra, però, essere ignorata dalla nazione ed anche dai quotidiani nazionali.

Si sono messi in rilievo solo cose negative come il problema della maggioranza al Senato; l’effetto Pallaro; i costi della politica con le polemiche intorno alla settimana lunga ed il mese corto che qualcuno ha preso come un tentativo della maggioranza di un vero e proprio regalo agli eletti all’estero. Gli aspetti positivi, tutti ignorati. Spero che si riesca a recuperare. Noi pensiamo che debbano essere fatti ulteriori sforzi, ecco perché abbiamo bisogno di altre risorse. Pensiamo, per questo, di istituire un ufficio stampa, un addetto stampa che possa garantire un rapporto costante, quotidiano con i mezzi di informazione italiani a partire da settembre. Credo che questo possa essere uno degli strumenti per arrivare in maniera puntuale ai mass media italiani per capire quali sono le nostre posizioni su alcuni temi che possono riguardare non solo gli italiani all’estero ma anche la politica estera, la politica economica italiana e tutto il resto e forse l’attenzione migliorerà sotto il profilo qualitativo.

Con il suo gruppo dell’Ulivo, avete concordato azioni comuni scaturite in lavori parlamentari?

Ci siamo imposti un metodo di lavoro. Studiamo le interrogazioni insieme e poi a turno le presentiamo: una sugli indebiti Inps; un ordine del giorno sulla rete consolare e sul suo potenziamento di personale; per i contratti locali al personale in loco, personale che deve essere assunto per migliorare l’efficienza dei servizi consolari; una migliore gestione dei capitoli di spesa dei consolati in modo che il capo dell’ufficio consolare possa avere maggiore flessibilità nell’uso dei fondi destinati, per esempio, comprare le penne con i fondi stanziati per comprare le sedie, molto banale ma importante; sul rilascio dei visti in base alla Bossi-Fini che, di fatto, ha bloccato fino ad ora questa possibilità sul progetto di scambio che riguarda 2000 studenti l’anno che si muovono tra l’Italia ed il resto del mondo; il 2 agosto scorso sugli esiti dell’Istria e Dalmazia per il riconoscimento della cittadinanza italiana, la legge n. 124 del 2006 che a causa di una circolare del ministro degli Interni la limita a coloro i quali non avevano esercitato il diritto di opzione con il Trattato di Parigi e di Osimo. Abbiamo posto all’attenzione del ministro dell’Interno questa esigenza, di una circolare del Dipartimento delle libertà civili e delle cittadinanza, escludendo quella parte degli esuli che sono emigrati all’estero e sono stati costretti ad assumere una cittadinanza di un altro paese perché così era previsto dall’ufficio internazionale dei rifugiati; l’ordine del giorno sulla questione della no-tax area che fa parte del decreto Bersani chiedendo al governo che, a partire dalla prossima finanziaria, valuti la possibilità del ripristino di queste fasce di esenzione fiscale e comunque faccia un’azione di monitoraggio per evitare che questa normativa abbia effetti negativi sulle fasce sociali più deboli che sono i pensionati, i lavoratori dipendenti ed autonomi che sono soggetti tra l’altro anche alla doppia imposizione fiscale perché l’Italia non vanta convenzioni in questo senso con tutte le realtà delle nostre comunità nel mondo.

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