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Referendum confermativo. Le ragioni del si

Chi voterà per il SI, oltre che sconfiggere il fronte del NO, punta a dimostrare che il vero vincitore delle politiche è il centrodestra.

Nessuna spaccatura nel Paese, assicurano i promotori del referendum sulla devoluzione, ma innovazione al passo coi tempi

«Spero – ha detto Sandro Bondi coordinatore di Forza Italia – che il referendum non diventi l’ennesimo scontro epocale fra i due schieramenti». Più lapidario è stato l’on. Maroni: «Senza devoluzione, fine della Casa delle libertà».

Emblematiche queste due dichiarazioni, diplomatica l’una, politica l’altra. Ma una cosa appare evidente, il referendum confermativo sarà più di una battaglia politica per lo schieramento di centrodestra. Infatti, chi voterà per il SI, oltre che sconfiggere il fronte del NO, punta a dimostrare che il vero vincitore delle politiche è il centrodestra.

La riforma costituzionale posta al vaglio del referendum confermativo, nell’ottica del SI, riduce la distanza Stato-cittadini con l’intento di evitare sprechi inutili e di aumentare la governabilità. La Camera avrà un ruolo nazionale. Accorda la fiducia al Governo e conserva i poteri legislativi. Il Senato federale sarà più vicino ai bisogni del territorio con competenze specifiche in materia di ordinamenti regionali e locali. C’è da aggiungere che la riforma prevede la riduzione del numero dei parlamentari: i deputati passeranno da 630 a 518, i senatori da 330 a 252 segnando la fine del bicameralismo perfetto. Chi vuole questa riforma costituzionale, crede in un Presidente del Consiglio che sia Premier, che conti di più nell’interazione con il governo facendolo uscire da un mediocre “primis inter pares”. Potrà revocare e nominare i suoi ministri sino ad arrivare allo scioglimento delle Camere, prerogativa sottratta Presidente della Repubblica. Per evitare lo strapotere del Premier, le norme prevedono il ricorso alla “sfiducia costruttiva” con la possibilità, nell’ambito della stessa maggioranza, di nominare un nuovo Primo ministro senza ricorrere allo scioglimento delle Camere. Ciò garantirà una migliore governabilità. La devoluzione dei poteri agli enti locali da parte dello Stato, non solo è una caratteristica comune, dicono i sostenitori del SI, agli Stati più avanzati, ma è il sistema più idoneo per estendere la partecipazione attiva dei cittadini alle determinazioni che li riguardano da vicino educandoli a non rassegnarsi ad un sterile assistenzialismo. Devoluzione non significa divisione tra regioni e Stato centrale, bensì garantisce trasparenza, economicità, federalismo fiscale e migliore corrispondenza con i bisogni locali in materie delicatissime quali l’organizzazione sanitaria, scolastica e di polizia amministrativa. Neanche è ammissibile alcun concetto di sussudiarietà dello Stato nei confronti degli Enti locali. Anzi, in calce alla dismissione di poteri, è scritta a chiare lettere una clausola di “supremazia” dello Stato a salvaguardia di possibili sperequazioni tra regioni posta a garantire l’unità stessa della Nazione.

I sostenitori del SI, credono che la riforma costituzionale, porti il Paese al passo con i tempi e con le altre realtà europee. A quanti denunciano la separazione di uno Stato unitario in piccoli centri di potere regionali, si risponde che la riforma ha scritto in calce che, sopra ogni cosa, è “l’interesse nazionale” ad avere sempre priorità. Questa dichiarazione, non a caso fu voluta fermamente da Alleanza nazionale spesso in rotta di collisione con le posizioni delle Lega Nord.

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