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La guerra di Troia è frutto della fantasia di Omero?

Delle vicissitudini della guerra di Troia narrata nell’Iliade, l’umanità ne è a conoscenza grazie alla vena poetica ed al racconto ramandataci da Omero.

Ma, questa guerra lunga dieci anni, ci fu veramente? Insomma, Omero si sarebbe abbandonato più di tanto all’estro ed alla “licenza” narrativa raccontando fatti, descrivendo luoghi di pura fantasia?

Non si sa con precisione ma la storia e l’archeologia sembrano essere orientate in questo senso.

Questa illazione, prima ancora di approdare alle teorie della studiosa anglosassone Bettany Hughes, fu sostenuta a partire dal III secolo a.c.

Omero ci racconta che tutto ebbe inizio a causa del “pomo della discordia”. Una mela con la scritta «alla più bella» che Paride ebbe il compito di consegnare appunto alla più bella tra Afrodite, Atena ed Era.. Scelse Afrodite, dea dell’amore, assicurandosi il suo appoggio e rapire, così, Elena, moglie del re di Sparta Menelao di cui era follemente innamorato. Scoppiò la guerra tra gli achei (coalizione di popoli greci) ed i troiani allorquando questi ultimi rifiutarono di restituire Elena.

Che la signora Elena, moglie di Menelao fosse esistita e, con questi, tutta la storia della città di Troia violata, per primo, fu il filosofo Eratostene. Egli mise in guardia dalla attendibilità storica dei poemi omerici precisando che dei poeti non bisognava fidarsi.

Dalle notizie tramandate in versi, infatti, si evincono, a ben vedere, non poche contraddizioni ed esagerazioni. Per esempio, Ulisse, stando all’Odissea, avrebbe esplorato addirittura la zona artica nel suo lungo peregrinare.

Ai poeti era affidato, secondo Eratostene, il compito di divertire ed intrattenere, non certo quello di istruire. Essi erano esenti dal raccontare verità proprio per questo motivo. «Ha ragione Eratostene» ha detto Rudolf Pfeiffer, insigne studioso. Quando mai i poeti avrebbero dimostrato l’affidabilità e la precisione che esige l’analisi storica dei fatti, la coincidenza dei luoghi descritti teatro di avvenimenti e situazioni epiche narrate.

D’altronde, lo stesso Aristotele, nella Poetica, aveva precisato che la verità della poesia e la verità della scienza, sono differenti e che la prima, per sua stessa natura, è autorizzata a prescindere, a volte totalmente, dalla verità storica.

A pensarci bene, l’equivoco di accordare piena credibilità alle narrazioni omeriche, era dovuta alla convinzione che i poeti fossero anche dei precettori , cioè fonti di apprendimento.

Heinrich Schliemann, mercante tedesco, fu uno di quelli che credette nelle verità storiche delle narrazioni omeriche al punto da voler scoprire i luoghi e gli scenari teatro della guerra di Troia.

In Asia Minore, Schliemann sovvenzionò e diresse, a partire dal 1870, scavi archeologici a Hisarlìk, Micene e Tirinto. Dei ritrovamenti venuti alla luce, quelli delle rovine di un centro ad Hisarlìk, sembrano potersi far risalire alla Troia omerica quale riferimento topografico cui si riferisce il mito.

Per il resto, alla morte di Schliemann, l’archeologo Manfred Korfmann, nel 1988, ripropose la questione della verità storica dei luoghi di cui aveva parlato Omero. Cosa dire? Se alla poesia non possiamo accordare rango di verità storica geografica, ma neanche la storia della letteratura dell’uomo antico e moderno sembra mai averla pretesa, allora diventa un finto problema la questione stessa.

Che Omero abbia descritto luoghi, raccontato miti, articolato vicissitudini tra Ettore ed Achille, immaginato l’architettura traditrice del cavallo di legno, significa solo che, e questo è un fatto, tutto quanto raccontato corrisponde “realmente”, almeno, a quanto la sua vena poetica e la sua fantasia fu capace di immaginare.

La sostanza del poema, intesa come etica, ideologia e politica, manifesta, proponendola tutta, la sua utilità attraverso l’uso della metafora ricorrendo a figure retoriche il cui significato è da ricercarsi lontano dalla specificazione letterale delle idee e dei fatti descritti: l’allegoria.

L’allegoria, però, si sa, non è uno stratagemma di sottile narrativa fine a sé stesso. Essa ha uno scopo ben preciso e mirato: arrivare alla coscienza, prima che alla mente degli uomini indicando loro una strada critica, insegnandogli dei precetti.

Attraverso l’interpretazione delle allegorie, si arriva a scoprire dottrine morali e filosofiche e non solo. Ma allora, se la commistione tra realtà e fantasia era, a questo punto, un pretesto, se la licenza del poeta, la retorica e, quindi, l’allegoria, nascondevano un insegnamento, dobbiamo arguire che i fatti sono veramente accaduti lì e come ce li ha descritti Omero. Dobbiamo, dunque, arguire che Eratostene non avesse ragione?

Se Omero avesse inventato tutto di sana pianta? Se la guerra di Troia, il cavallo di legno e tutto il resto non fossero mai esistiti? Peccato!

Eppure, le descrizioni allegoriche dei fatti sono troppo puntuali ed altrettanto inverosimili per non essere degne di una storia veramente accaduta. A che serve scavare. Le implicazioni dei personaggi, l’intrigo dei sentimenti e degli inganni prescindono dai luoghi.

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