Araya Rasdjarmeamsook: artista
Arte “troppo contemporanea”?
Per accostare lo spettatore al tema della morte, l’artista ha fatto ricorso a cadaveri veri
Araya Rasdjarmeamsook è una signora tailandese scelta tra 75 artisti per la Triennale del titolo “La sindrome di Pantagruel” in varie sedi espositive, dal Castello di Rivoli alla Gam, alle Fondazioni Sandretto e Merz.
E’ un’artista e, sin qui, nulla quaestio. L’unica sua particolarità è che ha una, come chiamarla, “vena” artistica che ha uno stretto legame con la morte.
Autrice di un’opera intitolata “The Class” l’ha mostrata, a Torino nel novembre di quest’anno. Consisteva in dieci tavole anatomiche sulle quali, supini, erano deposti 10 cadaveri veri. Il luogo della esposizione, la sala settoria dell’ospedale le Molinette.
La signora Carolyn Christov Bakargiev, curatrice della Triennale ha giustificato: «Ho avuto occasione di osservare un video della Rasdjarmeamsook sui temi legati alla morte girato all’ospedale di Bangkok che mi ha molto colpito così ho deciso di invitarla. E’ la prima volta che si riesce a realizzare una simile performance “dal vivo”, credo che non sia mai successo, anche se a dire il vero, i cadaveri hanno avuto una parte importate nella storia dell’arte».
Insomma, per accostare lo spettatore al tema della morte, l’artista ha fatto ricorso a cadaveri veri con grande…”sensibilità” infatti «abbiamo richiesto le autorizzazioni al Ministero della salute che ce le ha accordate perché non si tratta di una operazione commerciale e poi viene tutelata la privacy dei morti» ha affermato Araya.
Gli italiani, secondo lei, non hanno un buon rapporto con la morte, sono troppo attaccati alla vita per pensare al momento definitivo e finale per eccellenza.
Bella donna, 48enne, invece, mostra grande attenzione per la morte, nonostante la sua giovane età «mi sono accostata al tema della morte da diversi punti di vista, cercando di penetrarne il senso» è la sua giustificazione. Bah!
“L’attitudine” dell’artista, il suo “estro” sembra bizzarro e non poco macabro. In fondo, non si capisce per quale motivo i vivi debbano pensare necessariamente alla morte e carpirne il senso anche attraverso forme estreme di arte, quando sembra palese che l’uomo non ha ancora compreso a pieno neanche il senso della vita.
Questa è una forma di arte contemporanea e non è l’unico esempio. Fa notizia solo perché è difficile abbinare l’idea di una giovane ed attraente donna al contatto di cadaveri veri.
Già Maurizio Cattelan, nel maggio 2004, aveva “esposto” in una piazza di Milano, tre fantocci di bambini impiccati appesi ad una quercia. Un’opera che suscitò molte perplessità nell’opinione pubblica. Oppure Guenther von Hagens che allestisce mostre con cadaveri plastificati.
Senza nulla togliere agli artisti il cui genio, gli esperti, dicono consolidato, non sarebbe affatto disdicevole affermare che l’arte, debba soprattutto aiutare a vivere, più che a comprendere il senso della morte.
In fondo la morte è solo un momento della vita, quello finale e comune a tutti gli esseri viventi. E’ l’Epilogo ineluttabile. La vita è composta di una infinità di momenti, di anni, e non è ineluttabile. Non lo è per niente nella coscienza degli uomini perché può essere soppressa, elusa nel pantano della depressione, odiata nelle traversie della cattiva salute, sino ad arrivare a rinunciarvi.
Nell’animo dell’uomo della strada è di gran lunga più importante capire il senso della vita che dura e logora nel tempo piuttosto che studiare in maniera “parossistica” la morte espressione di un solo attimo.
Bene o male tutti moriremo prima o poi. Vivere bene o male è, invece, di fondamentale importanza. Da questo dipendono i rapporti tra gli uomini, la partecipazione costruttiva, il buon senso, la creatività filosofica che fa dell’uomo il migliore degli esseri viventi.