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Il consenso informato

Non solo la tecnica ed i mezzi diagnostici si sono evoluti nel tempo, anche il rapporto medico-paziente ha conosciuto una evoluzione in senso migliorativo di tutta l’ars medica.

Oggi il medico ha l’obbligo di chiedere il “consenso” al paziente per qualsiasi intervento egli ritenga necessario attuare per fare fronte alla sua patologia. Possiamo, dunque, affermare che il consenso del paziente è “il lascia passare”, la conditio sine qua non che impedisce l’operato del medico. Il medico non è obbligato nei casi in cui il trattamento medico è dettato ex lege oppure quando il paziente non sarebbe in grado di fornirlo, oppure nei casi di necessità ed urgenza in cui la stessa vita è in pericolo.

Naturalmente, per ottenere il consenso dl paziente, il medico sarà obbligato parimenti a dare tutte le informazioni come dettato dagli artt. 30 e 32 del codice deontologico: art. 30: « Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate…»; art. 32: « Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del paziente».

Questa attività, è ritenuto dalla unanime dottrina, deve svolgersi in tutti i rapporti di carattere professionale del medico-paziente, sia che si tratti di interventi chirurgici di particolare difficoltà dove potrebbe esser messa in pericolo la stessa vita, sia quando si intendano esperire semplicemente degli esami diagnostici o assegnare una qualunque terapia.

L’informazione, dunque, alla stregua del consenso, è un vero e proprio obbligo al quale il medico deve attenersi, obbligo per il quale la Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. III, 15 gennaio 1997, n. 364) ha tenuto a sottolineare: «la presunzione di un implicito consenso a tutte le operazioni preparatorie e successive connesse all’intervento vero e proprio, non esime il personale medico responsabile dal dovere di informarlo anche su queste fasi operative, in modo che la scelta tecnica dell’operatore avvenga dopo un’adeguata informazione e con il consenso specifico dell’interessato». Il Tribunale di Napoli, 12 ottobre 2001 ha sentenziato che: «L’onere della prova del mancato assolvimento del dovere di informazione da parte del medico, (consenso informato) incombe sul paziente, che agisca in giudizio per ottenere l’affermazione di responsabilità del chirurgo».

Il consenso e, di conseguenza l’informazione ad esso legata, rappresentano dei diritti che ineriscono la sfera dell’autodeterminazione dell’individuo malato, principi, peraltro, costituzionali imposti dagli artt. 13 e 32 della Costituzione.

Se il medico operasse in assenza di consenso, allora la sua posizione acquisirebbe spessore e rilevanza penale ai sensi e per gli effetti degli artt. 610, 613 e 605 c.p. (di carattere doloso nel caso di trattamenti terapeutici non di carattere chirurgico); ai sensi e per gli effetti dell’art. 582 c.p. (di carattere doloso nel caso di trattamenti chirurgici).

Dopo aver ascoltato con attenzione dal medico tutte le informazioni attinenti alle prestazioni sanitarie quali esse siano, il malato e lui in persona deve dare in proprio consenso a che queste vengano poste in essere. Le uniche eccezioni, è intuibile, riguardano i minori il cui consenso sarà dato dai genitori o da chi esercita la patria potestà oppure dal tutore; del non sano di mente; del non sano di mente anche senza il consenso dei familiari quando il suo intervento sia giustificato per la gravità della patologia come ai sensi dell’art. 54 c.p.

Il consenso del malato, dove non sia viziato da errore o da fraintendimenti e, chiaramente abbia prospettato pro e contro, è valido a tutti gli effetti sempre che non risulti contrario alla legge, all’ordina pubblico o al buon costume.

Si ritiene che questo sia il risultato della giusta deduzione del malato che, coscientemente, si sottopone alle cure del caso avendo capito a cosa andrà in contro: probabilità di successo, di insuccesso ecc.

Ma il consenso potrà essere anche revocato ed i medico è tenuto a rispettare questa sopravvenuta volontà del paziente interrompendo le cure poste in essere. Interrompere le terapie sarà la conseguenza della revoca ma, dobbiamo sottolineare che bisognerà che il medico si attenga sempre e comunque al dettato dell’art. 54 c.p., Stato di necessità: «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.

La disposizione della prima parte di questo articolo non si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo».

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